La comunità rinasce in azzurro

La vittoria della squadra di Roberto Mancini agli Europei 2020 ha un significato che va ben oltre i confini dello sport. Come associazione popolare non possiamo che condividere con empatia un momento collettivo di rinascita e ritrovato entusiasmo nazionale.

Le ACLI di Roma, in modo particolare, hanno riconosciuto nelle strade della nostra città quella voglia di comunità che ha dato segnali di resistenza anche nei mesi più duri dell’isolamento e del silenzio quasi irreale di piazze e luoghi consueti di incontro.  Famigliegiovanigente comune ai bordi delle magnifiche strade del Centro storico esprimevano al seguito dei campioni del calcio in trionfale tour cittadino una gioia autentica,  dopo tanti mesi di angoscia, sofferenza, timore per il futuro.

Non sono mancate, tuttavia, le critiche per il mancato rispetto delle regole anti-pandemiche, come il distanziamento e l’uso delle mascherine. L’impennata dei casi di contagio nella Capitale, che proprio in questi giorni registriamo con preoccupazione, sembra dare ragione a questi severi giudizi.

Possiamo dire che il conflitto tra la voglia di ripartenza e la necessità di contenimento sanitario imposta dalle circostanze è uno dei grandi temi, politici e etici, di questa delicata fase, nel nostro Paese e nella nostra città, anzi nell’intero mondo. Basti pensare alle attuali travagliate vicende delle Olimpiadi di Tokyo, sempre sull’orlo di essere bloccate sul nascere. Il rischio pandemico domina la cronaca, detta le agende politiche, marca i confini tra diverse scuole di pensiero, divergenti sensibilità, anche nell’opinione pubblica.

Economia e salute si fronteggiano come due dimensioni in competizione, almeno apparente. Interessi di interi settori, produttori e lavoratori – dal turismo alla ristorazione, alle imprese del tempo libero- entrano in rotta di collisione con il bene comune della salute di tutti. E più ancora si gioca una partita (per restare in tema) decisiva tra la libertà personale (di movimento, di cura, di stili di vita) e l’interesse collettivo. Abbiamo ripetuto più volte, e sperimentato, che non ci si salva da soli, ma fatichiamo a comprimere le nostre libertà personali incoraggiate dalla cultura dell’individualismo e del narcisismo, per fare posto alla preoccupazione rivolta agli altri.

Da questo punto di vista la vicenda dei riti collettivi del tifo nazionale è in qualche modo emblematica. Vale la pena fare qualche riflessione per orientarci anche nelle scelte concrete e quotidiane.

La festa è una necessità antica per le società umane. Attiva risorse e creatività, ripara le frustrazioni quotidiane, “sospende” le regole proprio per riconfermare il loro valore. Così dicono gli studiosi, così sappiamo noi delle ACLI di Roma che viviamo sul campo, come soggetti sociali di prossimità, le sofferenze le solitudini e i disagi di chi vive in bilico e ‘galleggia’ sul rischio di non farcela.

Come ricomporre allora il bisogno di festa con il diritto alla salute? Come diffondere una pedagogia sociale che, dopo la pandemia, dia di nuovo voce al bisogno vitale di socievolezza e insieme educhi alla responsabilità dei comportamenti, individuali e collettivi? Una grande metropoli come Roma è chiamata a risolvere questi problemi, proprio per la sua vocazione umanistica e universalistica. Le stesse istituzioni locali debbono assumersi questo compito, insieme ai soggetti della società civile. Non si tratta solo di garantire l’ordine pubblico, ma di promuovere la vita della comunità urbana in tutte le sue dimensioni e criticità.

Credo che questi obiettivi cruciali ci accompagneranno nell’immediato e anche nel prossimo futuro. Dobbiamo educarci, tutti insieme, ad una nuova stagione dei diritti e dei doveri, rideclinandoli nel loro intreccio e nelle loro concrete applicazioni.

La democrazia della cura di cui più volte ho avuto occasione di parlare, è l’orizzonte di questo compito. Cura di sé e cura dell’altro vanno tenute insieme, non c’è l’una senza l’altra. É una regola scritta nella nostra natura di esseri sociali, anzi prima ancora relazionali.

La festa vera sarà quella dell’armonia delle relazioni, di cui la città è quasi un’utopia vivente. E la nostra città, forse, più di ogni altra. Per questo l’euforia della vittoria, che ci ha colto quasi impreparati, deve lasciare il posto alla lezione di umiltà e umanità che ne possiamo ricavare.

Ci voleva, per raggiungere questo traguardo che sembrava impossibile alla vigilia, la caparbietà di un uomo –schivo e di poche parole- come il nostro allenatore, ma insieme anche la voglia di crederci di un gruppo, di una squadra, fatta più di coraggio collettivo che di protagonismo individuale. Come ho pensato e detto più volte, sognare insieme rende possibile anche l’impresa più difficile. Qui si colloca il valore  del lavoro di RETE che le ACLI di Roma praticano con convinzione, come metodo che genera condivisione, connessioni, legami vivi che trasformano la mera convivenza urbana in un percorso sinergico di animazione del territorio.

Gli esperti del calcio faranno analisi dettagliate del “come” si è costruita questa vittoria, ma sul “perché” ci possiamo esprimere anche noi, forse soprattutto noi “esperti del sociale” che incontriamo ogni giorno le fatiche di chi vive una difficile quotidianità, ma anche i talenti che nascono dove meno sono favoriti dalle circostanze, i sogni di chi non rinuncia a gettare il cuore oltre l’ostacolo. Nelle periferie esistenziali di cui ci ha parlato e ci parla sempre papa Francesco.

Abbiamo vinto perché lo spirito di squadra ha prevalso sugli egoismi dei ‘solisti’, perché l’amicizia sociale, che come ci ha detto papa Francesco è l’altra faccia della fraternità, ha moltiplicato la resilienza, perché il senso di appartenenza ha prodotto entusiasmo, e anche ‘leggerezza’, cioè la capacità di giocare con il pallone prendendo sul serio la vita, più che il successo da raggiungere. Volendo vincere, ma nella consapevolezza che la vittoria non è tutto.

Per questo la festa continua, anzi continuerà, nonostante questa complicata e per certi versi drammatica fase della nostra storia, se noi tutti impariamo a prenderci cura degli altri come di noi stessi. Il benessere personale non è il contraltare del bene collettivo, ma la linfa che lo nutre in profondità, e viceversa. Questa è la verità semplice e concreta che la città insegna ogni giorno a chi la vive, ascolta e abita con responsabilità.