Fatima e Walid (nomi di fantasia, ma storia vera) sono gli ultimi due allievi iscritti al nostro corso di italiano per immigrati. Sono cristiani copti da poco trasferiti a Roma dall’Egitto, perché situazione nel loro Paese è ormai diventata insostenibile.
Purtroppo molti paesi nordafricani e del medio oriente vivono in clima di violenza, dove gli scontri religiosi si sono fatti sempre più pressanti e sanguinosi.
Walid ha trovato lavoro come fruttivendolo, in un negozio gestito da connazionali, come ormai ce ne sono tanti nella capitale. Ma quando le nonnine gli chiedono la “bieta da capare”, lui non le capisce e così ha deciso di rivolgersi a noi, portando con sé anche la moglie, che, Leggi di più
a sua volta con più dimestichezza nella lingua e un certificato riconosciuto, potrà rinnovare il proprio permesso di soggiorno e avere chance migliori di trovare lavoro.
Una piccola storia di ordinaria quotidianità per noi, che da anni ci dedichiamo alla promozione della cultura e dell’educazione come straordinari mezzi di inclusione sociale, ma anche uno spaccato di ciò accade ogni giorno nella nostra città.
Nel Lazio, nel quale Roma incide per il 72%, un abitante ogni 10 è straniero – senza considerare i clandestini-, e sui 616mila immigrati che vivono nella regione più di mezzo milione risiede Roma.
La stima è stata fatta dall’ultima indagine del Idos – Centro Studi e ricerche Immigrazione, che ogni anno redige il suo Dossier Statistico.
Secondo i dati, che si riferiscono al 2013, la presenza degli immigrati nel Lazio risulta superiore alla media nazionale: 10,5% della popolazione residente rispetto all’8,1%. Un fenomeno in rapida crescita, con un aumento, nell’ultimo anno, del 29,1% mentre la media italiana è stata del 16,9%. Così, dei 534. 364 nuovi stranieri residenti in Italia nel corso del 2013, 1 su 4 (il 26,0%,) si è iscritto all’anagrafe di un comune del Lazio e principalmente nella provincia di Roma dove l’aumento è stato addirittura del 32,5%.
Interessante notare, per noi, come per tutti quelli impegnati nella promozione sociale, e nell’offrire servizi che favoriscano l’integrazione, come il 52% degli stranieri residenti nella regione Lazio sia rappresentato da donne. Fra le nascite nel Lazio il 15,7% è di bambini di coppie straniere. La comunità più grande è quella di romeni (oltre 164.000), poi ci sono filippini (34.000) e i bengalesi (34.000). Il 67,1% degli immigrati lavora nel settore dei servizi, il 20% nell’industria, il 6,3% nell’agricoltura.
Sappiamo bene come dietro questi dati ci siano altrettante storie spesso di dolore, certo di fatica, di rinunce, ma anche di speranze.
Al tempo stesso, conoscere a fondo i dati, ci aiuta a pianificare interventi mirati in grado di fare fronte in chiave innovativa ai bisogni che emergono in merito agli immigrati, allontanandoci dalla logica dell’emergenza e del mero assistenzialismo.
Ma niente, su questo fronte, è semplice. A Roma, lo abbiamo visto anche con la rivolta di Tor Sapienza, dello scorso novembre.
La radice del problema è culturale: si tende ad associare l’immigrazione alla criminalità, senza tener conto del fatto che i primi a soffrire sono spesso gli stessi immigrati che sono già ben inseriti nella comunità, ma che finiscono per essere considerati colpevoli dei reati commessi dagli altri.
A questo proposito è interessante quanto emerge dal Rapporto Cisf 2014 “Le famiglie di fronte alle sfide dell’immigrazione”, che ha raccolto per la prima volta le opinioni di 4 mila famiglie italiane, sul tema dell’integrazione.
Emerge, ad esempio, che i giudizi negativi e le paure verso gli “stranieri” sono nella stragrande maggioranza dei casi determinati dall’impatto dei mass media, mentre tutte le volte che le persone s’incontrano davvero, faccia a faccia, la diffidenza e la paura se non scompaiono del tutto, diminuiscono comunque in modo significativo, e si innescano meccanismi di fiducia reciproca, di sostegno, di relazionalità. Da qui, è naturale che la presenza dei bambini figli di immigrati nel sistema scolastico si conferma una grande opportunità di integrazione per i minori e per le loro famiglie.
Non sta a noi metterci a discutere della legge di cittadinanza, per la quale auspichiamo presto una soluzione, ma una cosa possiamo dirla anche in base alla nostra esperienza: l’integrazione si costruisce giorno per giorno. Nascere in Italia, frequentare le nostre classi, fare sport insieme, vivere le nostre strade e le nostre piazze, parlare l’italiano, spesso anche i nostri dialetti: così si diventa italiani.
Anche così si costruisce concretamente la pace. Non servono chissà quali discettazioni. Non è un tema solo ad appannaggio dei grandi della Terra che si riuniscono e ne parlano, ma riguarda tutti noi perchè tutti possiamo concorrere alla pace attraverso piccoli gesti quotidiani.
Solo a partire da qui – e cioè dall’impegno di ciascuno -, possiamo poi parlare di alleanze per raggiungere il comune obiettivo dell’integrazione. Ognuno può e deve fare la sua parte: Istituzioni, Scuola, Famiglia, Società civile e Chiesa in una logica di sussidiarietà verticale ed orizzontale pienamente agita.
Oltre la cronaca, serve dunque la concretezza di un impegno quotidiano per la costruzione di legami di Pace nella nostra città.