Il pane a chi serve e la concretezza dei piccoli
Edoardo e Giuliana hanno 4 figli. Lui è un impiegato, lei è stata licenziata dall’azienda per cui lavorava da 10 anni “a causa di esuberi”, dicono. “Per le troppe maternità”, pensa lei. Prima Giuliana ha eliminato il parrucchiere e l’estetista, poi hanno accorciato via via le vacanze, poi hanno cominciato a risparmiare sulla spesa. Poi, a bussare in parrocchia.
Marisa è una mamma single, ha sempre cresciuto il suo bimbo da sola e adesso che comincia ad andare a scuola le spese aumentano ancora di più. Tra affitto, bollette e la logopedia per Marco, va via quasi tutto il suo stipendio da impiegata. Anche la spesa al discount è diventata cara e si tira la cinghia a tavola. Un giorno il brodo, l’altro pure, la carne, se va bene, una volta a settimana. Leggi di più
Anna è vedova e campa con la pensione minima del marito. Sa che ogni tanto i nipoti la vanno a trovare e non vorrebbe mai farli andare via a tasche vuote. Se apri la sua dispensa, ci trovi solo scatolette e quel barattolo di crema alla nocciola per quando vanno i nipoti.
Tre storie diverse accomunate da una considerazione: sono sempre di più le persone al limite della povertà, i “nuovi poveri” come li chiamano i sociologi. Quelle stesse persone che fino a poco tempo prima riuscivano a vivere dignitosamente, chi per un motivo, chi per un altro, chi pian piano, chi all’improvviso, non ce la fanno più ad arrivare alla fine del mese, anzi, neanche alla terza settimana. E uno dei segni tangibili, si vede a tavola. Queste “nuove povertà”, si affiancano a quelle estreme, che già conosciamo bene, che fino a pochi anni fa riguardavano solo i Paesi in via di sviluppo, ma che ormai sono più che evidenti anche nella nostra città.
A Roma, come è stato rilevato statisticamente – ma come confermiamo anche noi, attraverso i bisogni manifestati dalle 80mila persone che ogni anno incontriamo attraverso i nostri Servizi di tutela e di assistenza -, il 4% della popolazione vive sotto la soglia di povertà, mentre il 7% mangia in maniera adeguata solo ogni due giorni. Significa (perché i numeri sono fatti di carne) che a Roma ci sono tanti “Edoardo e Giuliana”, “Marisa”, e “Anna”, magari anche nel nostro palazzo. E poi c’è il paradosso: ogni giorno, ad esempio, vengono sprecate 20 tonnellate di pane, circa il 10% della produzione totale, solo nella capitale.
Se ne è parlato molto a ridosso della Giornata dedicata alla prevenzione dello spreco alimentare, lo scorso 5 febbraio, suscitando un certo interesse sui media, come se ci fosse bisogno di ricordarlo sui giornali che c’è un esercito crescente di poveri, spesso mimetizzati.
In questo clima di “globalizzazione dell’indifferenza”, ecco “Il pane A Chi Serve 2.0”, un progetto innovativo e sperimentale che le ACLI di Roma, in rete con altre organizzazioni, a partire dalla CNA e da Coldiretti, stanno portando avanti con un triplice obiettivo: recuperare il pane in eccedenza che quotidianamente viene sprecato, offrire un aiuto a chi non ha da mangiare e, ultimo – ma non da meno – rispondere a una forte esigenza educativa e di sensibilizzazione sul tema del recupero alimentare.
Una buona pratica per contrastare il “paradosso dell’abbondanza”, in una città come Roma dove c’è cibo per tutti, ma non tutti possono mangiare; dove c’è qui abusa della pattumiera e chi va a rovistare tra gli scarti.