Mattia ha 25 anni, una laurea in economia, un master in marketing e management dello sport e un biglietto di sola andata per Londra. Meglio fare il cameriere lì, all’inizio, che starsene a spasso qui, che con la pacche d’incoraggiamento sulle spalle con cui non ci si paga un affitto.
Emma ha terminato le scuole superiori due anni fa. Ha studiato disegno e grafica, poi il blocco. Di andare all’università non se ne parla, per lavorare c’è tempo. Il sogno di disegnare fumetti è rimasto nel cassetto. Adesso non sa da che parte ricominciare, se ricominciare.
Enrico dopo la laurea in scienze politiche, aveva trovato lavoro in un’importante fondazione e sembrava che ci fossero anche prospettive di carriera: troppo bello per essere vero, e, infatti, al secondo rinnovo di contratto, il rapporto di lavoro si è risolto. Lui, invece, non si è risolto affatto. Ora è un disoccupato certificato dal centro per l’impiego. Leggi di più
Miriam è al terzo stage. Ha 30 anni, una laurea in scienze della comunicazione, un centinaio di articoli scritti gratis per diversi blog, tanta voglia di mettersi in gioco, ma nessuno che la prenda ancora sul serio. Solo lavori precari, malpagati quando va bene. Sogna di sposarsi con Alessandro, il suo storico fidanzato, stagista pure lui, ma al momento precarietà batte futuro 2 a 0.
Tra chi ci invia curriculum vitae, chi si rivolge alle nostre sedi di Patronato, chi arriva da noi per il Servizio Civile, di storie così ne abbiamo raccolte tante negli ultimi anni. Anche per questo abbiamo deciso di dare una “svolta” attraverso il progetto “Job to go”, che nasce con il contributo del prof. Faioli dell’Università di Tor Vergata e vede le ACLI di Roma affiancate alla CISL di Roma e Rieti in una buona pratica di alleanza educativa a favore del Bene Comune, in un tempo in cui, invece, dominano divisioni e derive ideologiche e si tende a proporre soluzioni per oggi che diventano i problemi di domani.
Ci pensavano guardando quel centinaio di studenti del Giulio Verne, la scuola pilota del progetto, una bella realtà di Acilia, periferia sud della capitale, quando abbiamo presentato alla stampa il progetto. Cosa stiamo lasciando a questi giovani? Che prospettive di futuro stiamo trasmettendo?
Guardandoli negli occhi ho sentito tutto il peso di una responsabilità che troppo spesso noi adulti sottovalutiamo. E, allora, ho sentito ancor più urgente la spinta a fare qualcosa di concreto.
Siamo partiti dai dati che ci raccontano una realtà drammatica sia per il presente che per il futuro di tanti giovani, se le cose non cambiano: 1 giovane su 3 tra i 15 e i 29 anni nel Lazio (regione in cui Roma incide per il 72%) è senza lavoro. Un decimo dei neet (quelli che non studiano, non lavorano e non cercano un’occupazione) italiani, vive nella nostra regione. Di questi, l’80% è a Roma. In tanti fuggono all’estero (di tutti gli italiani residenti all’estero, il 54,1% sono giovani al di sotto dei 35 anni. Lo fanno innanzitutto per “assenza di meritocrazia”, “clientelismo” e “bassa qualità delle classi dirigenti”, o “scarsa qualità dei servizi”, tra i motivi principali.
Oltre alla disoccupazione, c’è la cattiva occupazione. Chi lavora si trova spesso in occupazioni precarie, mal pagate e dequalificanti. O fa stage a vita.
Il tutto non fa certo onore al nostro Paese e non ci basta sapere dalle statistiche europee che i giovani romani sono tra i più qualificati e intraprendenti. E, forse, non basta neanche una riforma come quella appena varata dal Governo sullo ‘Job act’, che dovrebbe far aumentare il numero dei contratti. Qui è questione innanzitutto di trasmettere un po’ di fiducia alle nuove generazioni.
Occorre una svolta culturale sul tema del lavoro, perché se oggi rischia di essere svilito e ridotto a mero scambio commerciale prestazione/compenso, dobbiamo pensare che in realtà è un tema fondativo per noi tutti (lo dice l’articolo 1 della Costituzione), e rappresenta, insieme alla democrazia, uno dei due pilastri di sostegno di un ponte ideale sul quale trovano spazio tutti i diritti esigibili che garantiscono sicurezza, dignità e sviluppo integrale della persona, una porta di accesso ad una piena cittadinanza fatta di diritti e di doveri.
Non possiamo permetterci che i giovani non ci credano, perché il loro futuro è anche il nostro.
Il lavoro è un tema inclusivo, ma la politica, in questo momento di crisi che non è solo economica, ma anche valoriale e sociale, resta concentrata su priorità che dividono, spesso più ideologiche che pratiche. Invece ha l’opportunità – che non puo’essere sprecata – di educare i giovani al valore del lavoro.
La prima svolta, quella culturale, è alla base di tutto: ogni lavoro è degno e fonte di virtù, se valorizza il talento e garantisce una tutela.
Non esistono infatti lavori di serie A e B, ma solo una buona o una cattiva occupazione. E c’è bisogno di riaffermare con forza questo concetto, visto che ben 3100 i posti di lavoro nel campo dell’artigianato e del manifatturiero, ad esempio, rimangono vacanti per mancanza di qualificazione adeguata (nel 36,5% dei casi) o perché i candidati hanno aspettative superiori (12,4%).
E parlando di questo, non ci rivolgiamo solo ai ragazzi, ma anche alle loro famiglie, che per prime vorrebbero i figli solo medici, avvocati e ingegneri, o peggio veline e calciatori, senza alcuna offesa.
Dobbiamo anche trasmettere ai giovani passione e amore per il Lavoro, perchè come ha detto Steve Jobs fondatore di Apple in un celebre discorso ai giovani “L’unico modo di fare un ottimo lavoro è amare quello che fai. Se non hai ancora trovato ciò che fa per te, continua a cercare, non fermarti, come capita per le faccende di cuore, saprai di averlo trovato non appena ce l’avrai davanti. E, come le grandi storie d’amore, diventerà sempre meglio col passare degli anni. Quindi continua a cercare finché non lo troverai. Non accontentarti. Sii affamato. Sii folle”.
E noi aggiungiamo, sii pronto alla svolta!